Da Alice a Joelle, per l’ultima missione

di Daniela Pastor


Agnese Seranis

Ci ha lasciati lì, Clarissa, la protagonista del penultimo romanzo che Agnese Seranis pubblicò in vita, ci ha lasciati in un mondo che la scienza degli uomini aveva distrutto e stava per finire, ma nel quale solo lei continuava a credere, come donna e come madre, per l’assoluta fiducia nella natura, nonostante avesse generato bambini blu.
Ci ha lasciati lì, Clarissa, davanti  a un cielo perennemente giallo e arancione  e con un ultimo desiderio - Oh dei, fatemi morire in una notte stellata, che ancora una volta io veda gli spazi…-

Qualcuno allora si chiese il perché un romanzo di fantascienza da parte della Seranis che ne “Il filo del discorso” aveva scritto che “in queste fantasie non trovavo luogo per me”, riferendosi a ciò che i suoi colleghi leggevano: le astronavi superveloci di Asimov, di Clarke, i loro robot, la nascite cibernetiche ecc;  erano il sogno dell’uomo, il conflitto e il dominio sulla galassia.

Non è che non le interessasse la fantascienza, anzi, credo sia lo sbocco naturale come genere letterario per una fisica che si muove quotidianamente  tra l’infinitamente piccolo, l’invisibile, e l’Universo, ma Agnese le attribuiva una funzione particolare, come si legge nel suo saggio Noi, abitanti di improbabili futuri, pubblicato sulla rivista Lapis del giugno ’94: fantascienza come futuro potenziale, già presente nei sogni umani. Come luogo di scrittura vi hanno diritto di cittadinanza ogni fantasia, ogni capovolgimento dimensionale, ogni visionarietà, e disvela strati profondissimi dell’essere umano. E ancora:- Ah, come mi piacerebbe bucare la dimensione del tempo e incontrare una nostra figlia spaziale per sapere come ci siamo giocate attraverso le migliaia, i milioni di anni a venire….-.

La Seranis,  dieci anni dopo l’articolo su Lapis, si serve delle possibilità della letteratura, nonché della sua capacità visionaria, per creare questa donna del futuro, che è il punto di arrivo del suo alter ego protagonista dei due romanzi precedenti, Io, la strada e la luce di luna,(‘88) e Il filo del discorso (‘97).

Ci ha lasciati, Agnese… ma prima ha compiuto quella che gli eroi e gli autori di fantascienza considerano l’ultima missione, la più difficile, in cui pochi osano cimentarsi: il ritorno alle origini. Ricordate la navicella di 2001 Odissea dello spazio, alla deriva, oltre l’infinito, e l’astronauta che vede la propria morte ma anche la propria nascita? o l’ultimissimo film di Star trek (quando oramai vi era già una next generation) in cui i vecchi protagonisti ripartono per rivedere  la loro infanzia ? E nelle saghe fantasy, quando si stringe l’ultimo anello, o la spada magica, non si deve essere pronti a guardare senza veli dentro di sé e nel proprio passato ?  

Agnese dapprima ha rivisitato l’origine della sua scrittura in Smarrirsi in pensieri lunari,  e poi ha rivisto la sua infanzia e l’adolescenza nel romanzo postumo, scegliendo però una compagna per l’ ultima missione,  Joelle, che non a caso proviene da un continente che ha dato le origini all’umanità, l’Africa, e in cui ci sono ancora  nodi di dominio patriarcale, di condizioni estreme, di sofferenza, di fame, di violenza, che ne fanno un’ideale sorella in questo racconto che potremmo considerare di formazione. Anche gli uomini invitano le donne a seguirli,  ma è ben diverso  il dannunziano “la favola breve che ieri mi illuse, che oggi ti illude, o Ermione",  da quell’iniziale “Joelle Joelle, il mondo si riflette in ogni storia, oggi la tua, ieri la mia, che voglio narrarti”.

Io ho seguito le tracce di quest’ultima missione di Agnese, ripercorrendo il suo itinerario narrativo alla luce di ciò che di lei ci rivela l’ultimo libro..
Pensiamo al titolo del  primo romanzo, del 1988, Io, la strada e la luce di luna… quanta sicurezza, almeno apparentemente, c’era in questo pronome, e come pareva definita l’immagine che ci suggeriva. Il monologo della protagonista, Alice (nome che ritorna anche ne “Il filo del discorso” e nella prima parte di Clarissa) fluiva ininterrotto, a tratti allucinato, perturbante, viscerale.

Il nuovo titolo, Smarrirsi in pensieri lunari,  evoca l’idea di un viaggio, di quella navicella alla deriva, ma nei meandri della propria anima. Un viaggio interiore inserito però in un contesto che mancava nel primo libro, e che interpreto come una maggiore consapevolezza della presenza del lettore, cui si danno coordinate in più: il  ricovero ospedaliero, il delirio, il risveglio, la presenza del marito.
Quindi il percorso narrativo di Agnese è partito da un Io, che prende poi il nome di Alice, che non si riconosce allo specchio, ad un Io che decide di cambiare il nome mentre il mondo cambia (Clarissa), ed approda all’Altro, Joelle.

Mi emoziona pensare che la fiera del libro di Torino di quest’anno abbia proprio come tema questo binomio, Io e l’ Altro.

Con Joelle Agnese compie proprio quello disvelamento di strati profondissimi dell’essere, nel suo viaggio nel tempo dell’infanzia, ma soprattutto toglie il velo di idealizzazione con cui aveva ancora coperto i primi anni della sua vita ne Il filo del discorso, che è un po’ il seguito dell’ autobiografia romanzata.
Rileggerlo dopo Joelle fa una certa emozione, perché si rivede, in alcuni passi, l’interno di quella casa, anzi, di quella stanza, tinello-cucina, dove si svolgeva la vita così difficile della piccola protagonista, ma con un tono diverso: se ne intuiscono le difficoltà economiche, ma non la miseria, non la costante ricerca del cibo che riempie le prime pagine, cibo in senso materiale e spirituale, di vana ricerca di calore umano.
Un interno, ne “Il filo del discorso”, in cui certo c’è un padre severo, sempre insoddisfatto, ma che sorride dalla foto nella cornice che la Alice,  fisica in pensione, con marito e due figli, tiene con sé. Un padre che si reca dalla maestra per parlare degli esami di ammissione della figlia, ma che sarà presente anche alla laurea di lei, anzi, la abbraccerà.
Una madre che le trasmette i gesti del vivere quotidiano della donna in casa, sempre uguali, ma che diventano anche occasioni di festa in momenti quasi di riti collettivi fra donne, quando preparano le conserve, o al lavatoio: con quanta precisione, per esempio, Agnese descrive come si stira una camicia, mentre le riecheggiano le raccomandazioni della madre, quasi fosse fiera anche di un sapere che, come il nome Alice, si tramandavano da generazioni.

Una madre che non la difende dalla sottomissione ai fratelli, e da cui lei si distacca però solo quando scoprirà la lettura, ma anche una madre della quale da grande scoprirà il diario in cui aveva annotato il dispiacere perché lei stessa non aveva potuto proseguire gli studi. E poi c’è una nonna, assente in quest’ultimo libro, che le dà l’affetto e la protezione che non riceve dai genitori.

Nello stesso paese di montagna, nello stesso interno, ben altro è lo scenario umano di Joelle: ben altro padre, violento, insinuante, che non viene pianto quando muore : Dimenticarlo è stato il desiderio di tutti; e la madre che sembra non avere le energie per poter amare i figli imposti da un marito di cui lei stessa é la prima vittima.
Una madre che non provvede alla figlia che cresce, che se ne dimentica, che l’abbandona a se stessa visto che ha scelto un destino diverso, di studio e in una città. Ma solo leggendo Joelle capisco perché Clarissa non abbia paura di attraversare un mare rossastro sotto un cielo in cui non scende la notte, e perché Alice negli altri due romanzi possa dire al proprio uomo:
io sono  il mare e tu i pesci, io il cielo e le nubi, il cosmo che pulsa e tu un’onda elettromagnetica che lo attraversa una galassia a spirale con infiniti soli, stelle e pianeti, …- Avrebbe attraversato l’universo come un giardino se ne avesse trovato un viottolo. Era di una tale bellezza il cielo notturno!...Sospettavo che in realtà un dialogo musicale ci fosse fra una particella e l’altra, del corpo , di tutti i corpi, anche delle più lontane galassie…nulla doveva rimanere escluso da questa sinfonia notturna in cui ad ogni forma esistente corrispondeva la sua nota.
Perché in quelle donne che si esprimevano così (che è poi sempre la stessa, Agnese-Alice-Clarissa) è rimasta quella bambina che in Joelle andava da sola sino al Calvario, alla chiesetta sul fianco della montagna da cui si dominava l’intera valle. " La bimba sola s’incontrava con il cielo. Profondo azzurro.! Al di là delle montagne c’era il mondo, e là doveva esserci un posto per lei."

Il paesaggio natio le è rimasto dentro, non solo negli aspetti rasserenanti, ma nei più inquieti, rovinosi, come le immagini del disgelo: penso a quel torrente in piena che scendeva violento fra le lastre di ghiaccio, portando a valle i tronchi d’albero strappati dai fianchi della montagna. Nell’introduzione a Smarrirsi in pensieri lunari, Agnese paragona il momento di crisi di identità di una donna agli scricchiolii di ghiaccio che si scioglie in primavera, e più avanti, per esprimere il senso di vuoto che, dopo anni di lavoro con gli uomini nel laboratorio di ricerca, la indusse a dimettersi, scrive:- Avevo come la sensazione che tutto fosse posato sulla crosta di una neve primaverile: scric, scricc, puff, puff, sprofondavi, sprofondavi ...e la neve ti riempiva la bocca e ti sentivi morire…

E come si era trovata un Padre alternativo nel Dio della Chiesa, che poi da grande abbandonerà, così aveva nella natura la Gran Madre cui si affiderà per tutta la vita, e posso ipotizzare che il sentire così ambivalente verso la maternità che percorre tutti i romanzi affondi le sue radici nella ferita di essere figlia, ma anche nella fierezza di sentirsi attraversata dall’energia vitale della Natura.

Il percorso narrativo della Seranis, da Io, la strada e la luce di luna a Joelle si rispecchia anche nello stile, perché il primo libro è quasi senza punteggiatura, e lei stessa scrive che basta essere intonati si capisce dove bisogna fare la pausa, mentre l’ultimo è molto preciso nella punteggiatura.
La prima pagina sembra un’ouverture, con i puntini di sospensione come unica pausa, a staccare bene gli accordi; poi si nota il frequente uso dei due punti, quasi sentisse il bisogno di annunciare alla sua interlocutrice che spiegherà tutto, che non terrà più niente segreto o velato. Non è più sufficiente una buona intonazione, non si affida più alla nostra improvvisazione, il suo scritto è una partitura musicale di cui l’autrice ha curato ogni nota, ogni pausa, ogni cambiamento di ritmo, dalla prosa alla poesia, e così deve essere eseguita.
In Joelle  Agnese non si smarrisce più, dirige l’orchestra.

Per chiudere vi invito, se volete, se rimarrete affascinati e commossi dalla lettura di Joelle, a rileggere se li avete già, o a conoscere gli altri libri e forse, come me, chiuderete questo percorso con un senso di vicinanza e di tenerezza verso Agnese, alla quale auguro, nella sua lunga notte su qualche galassia che avrà sicuramente scoperto, di ascoltare  quella sinfonia notturna che tanto amava.

 

15-06-2009

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