Ci servono tanti "laboratori". Popoliamo quelli che ci sono, apriamone di
nuovi
di Carla Cotti
E' un punto di partenza politico: se vogliamo dare continuità al percorso,
dobbiamo riconoscere il lavoro delle femministe storiche che hanno tenuto
aperti i luoghi - case, librerie, biblioteche - e i fili del discorso. E
interrogare le esperienze più giovani
Più ci penso e più me ne convinco.
Il nocciolo della straordinaria
manifestazione di sabato 14 gennaio a Milano è stato - come su Liberazione
hanno scritto subito Angela Azzaro
e Claudio Jampaglia - il
ritorno del femminismo. Ritorno sulla scena pubblica e mediatica, certo,
ma anche e soprattutto, forse, ritorno a se stesso.
A sorpresa si sono rifatti visibili una cultura politica e un movimento in
parte interrotti dall'avvitamento collettivo dei tardi anni Settanta, in
parte metabolizzati, in parte passati a una innegabile semiclandestinità.
Accantonati vituperio sociale e
rinnegamenti individuali diffusi (avete presente il martellante "Non sono
femminista, ma... " che ci ha afflitto per decenni?), in tante ci siamo
ritrovate ed espresse con la freschezza e il senso di necessità delle
origini.
Gesti, slogan, presenza in piazza, perfino certi aspetti del look
passavano misteriosamente dalle donne adulte alla ragazze (tante). Eccoci:
di nuovo sfacciate, irridenti, radicali (da quanto tempo non sentivamo un
gruppo di signore gridare per la pubblica via «Dito, dito orgasmo
garantito»?). Eccoci, «con tutto l'armamentario rispolverato», come
commentava cinica e affettuosa l'amica (conosciuta a vent'anni al Governo
Vecchio) con cui sono arrivata a Milano: dai cappelli da strega ai
cartelli fatti a mano con la scritta "Io sono (ancora) mia".
Archeologia, penserà qualcuno/a che non c'era. E invece era il contrario,
un soffio complice e vitale che si faceva strada tra le bandiere di
sindacati e partiti (troppe) e le piccole masse benintenzionate di
militanti di sinistra - presenza bene accetta ma aggiuntiva in una piazza
evidentemente "nostra".
Un brivido che passava dalle une alle
altre, dalle singole ai gruppi e collettivi - una marea, ognuno col suo
striscione, molti consolidati, moltissimi mai sentiti: luoghi noti e
ignoti di un lavorìo ininterrotto e capillare. Luoghi nuovi, anche, di
generazioni da poco sulla scena, tutti da scoprire.
Canali di trasmissione da indagare, in primo luogo con le giovani
protagoniste stesse. E un debito da attestare. «Non voglio riconoscenza,
ma riconoscimento sì», diceva Edda Billi - luogo
di origine controllata il Collettivo femminista romano di via Pompeo Magno
- durante una delle assemblee alla Casa internazionale delle donne.
Propongo di offrirle entrambe le cose. Se, come mi sembra, dal palco di
piazza Duomo questo elemento è stato trascurato, siamo ancora in tempo.
E' il momento di rivolgere un
ringraziamento solenne a Edda e a tutte le femministe storiche che hanno
appiccato l'incendio all'inizio e poi alimentato pazientemente,
ostinatamente la lampada, quando la luce si è affievolita. Tenendo aperti,
con altre, i luoghi di tutte - Case, centri, librerie, biblioteche - e i
fili del discorso. Mentre in tante ci inabissavamo nelle solitudini e
illibertà dei mestieri, delle professioni, della vita "adulta".
Non è un riferimento di maniera, quello che propongo, ma un punto di
partenza politico, un luogo solido dove poggiare i piedi mentre ci
interroghiamo su come procedere. Se vogliamo dare continuità a un percorso
appena iniziato salvaguardandone la piena - e costitutiva - autonomia, se
non vogliamo trasformarci in un fenomeno girotondino qualsiasi, ne abbiamo
bisogno.
Parto dalla mia esperienza concreta. Mi ha colpito e rallegrato la
manifestazione, certo, ma di più mi hanno emozionato le assemblee
preparatorie: il semplice ritrovarsi, guardarsi in viso, riprendersi le
misure, confrontarsi, ragionare insieme pur nelle enormi differenze che ci
percorrono. Materia prima, insostituibile di qualsiasi "risveglio"
femminista, piccolo o grande, dalla notte dei tempi. Sono convinta che la
strada sia - ancora e sempre - questa. La ricerca a partire da sé, e con
le altre.
Perciò la cosa più urgente da fare mi
sembra dotarci di luoghi di incontro (fisico, se possibile) e confronto:
aprirli, dove non ci sono (e sappiamo che basta una casa, un'aula, una
cantina, e soprattutto bastano tre o quattro esseri di sesso femminile),
popolarli dove ci sono. Animarli regolarmente, in modo che sia chiaro che
a quel giorno, a quell'ora, se vai, troverai altre che come te hanno
voglia di non spezzare il filo, intrecciarlo per sé e per chi non c'è.
Questo creare o mantenere le une per le altre "laboratori" di riferimento
viene prima, e accompagna qualsiasi iniziativa.
Più facile a dirsi che a farsi, meglio dichiararlo subito; più facile
trovare il tempo - parlo per me - quando avevo vent'anni, che ora, nel
soffoco di pesi e obblighi dell'età matura. Per chi non ce la farà,
semplicemente, si spegnerà la fiammella.
Fortuna che c'è internet. Se fisicamente
non ce la facciamo a vederci, possiamo raggiungerci almeno via tastiera, "Usciamo
dal silenzio" lo dimostra. Anche i siti si possono moltiplicare. Poi
ci sono i giornali (quello che avete tra le mani ha deciso da tempo di
spalancare le sue pagine), le riviste.
Tutta un'esile e forte ragnatela da
tessere. Ancora, di nuovo, più forte di prima.
questo articolo è apparso su
Liberazione del 22 gennaio 2006
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