SOMMOVIMENTO

di Olivia Fiorilli


Roma, 24 novembre 2007

Presidi, manifestazioni, cortei non autorizzati - uno dei quali, a Roma, è stato caricato dalle forze dell'ordine - una protesta forte e determinata organizzata nel giro di poche ore: la capacità di mobilitazione delle femministe in tutta Italia dopo i fatti di Napoli ha lasciato molti stupiti.

Eppure il multiforme panorama di gruppi, collettivi e associazioni di femministe e lesbiche che in tutta Italia da anni agiscono sul territorio e nel web ha creato nel tempo un terreno fertile ed attivo e ha trovato nella manifestazione che il 24 novembre ha portato in piazza 150 mila donne contro la violenza maschile, un passaggio chiave di una nuova voglia di mettersi in rete.

Qualcuna lo ha definito un «sommovimento», e infatti «sommosse» è il nome della lista nata dall'assemblea nazionale del 12 gennaio scorso, che ha fatto incontrare alla Casa Internazionale delle donne di Roma più di trecento donne.

Da quella assemblea è partita l'idea di due giorni di approfondimento e condivisione di pratiche e analisi previsti sabato 23 e domenica 24 a Roma.

Per non farsi dettare l'agenda dagli attacchi continui alla libertà e all'autodeterminazione delle donne, ma anche per far dialogare la grande eterogeneità del sommovimento. Sono infatti moltissimi i temi e le pratiche di questa miriade di gruppi, per lo più autonomi ed auto-organizzati, spesso attivi all’interno di coordinamenti e reti territoriali.

C’è chi si occupa di violenza contro le donne e le lesbiche organizzando presidi sotto le  case degli stupratori e davanti ai tribunali, come il coordinamento bolognese «Quelle che non ci stanno» e chi gestisce un centro antiviolenza, come l’associazione «Donne in genere» di Roma.

Ci sono gruppi che lavorano principalmente sulla produzione di immaginario, come A/matrix a Roma, e collettivi che operano sul territorio attraverso una presenza attiva nel consultorio di zona e con le migranti, come il gruppo donne dell’Ex Snia, anche loro nella capitale.

Ci sono i tanti collettivi universitari [Figlie femmine a Bologna, Ribellale a Roma], i gruppi che stanno all’interno di centri sociali misti, come le Infinite Voglie di Roma e quelli che occupano spazi in proprio [Luna e le altre, Roma]. Alcune autogestiscono spazi nelle radio di movimento, come le femministe e le lesbiche del Martedì autogestito di Radio Onda Rossa, altre si vedono nei centri sociali, pur mantenendo una sostanziale autonomia.

E’ il caso del collettivo 40 tette di Brescia [all’interno del quale, sfidando il nome, c’è anche un uomo] che, attivo a fasi alterne dal 2006 all’interno del CSOA Magazzino 47, ha dato vita al presidio del 14 gennaio davanti agli Spedali civili.

Infine ci sono i gruppi impegnati nella promozione di cultura lesbica, come il Fuoricampo lesbian group, un’officina di studi e arte attiva da anni a Bologna. La promozione culturale è anche l’obiettivo dell’associazione lesbica e separatista Desiderandae di Bari. Tredici lesbiche tra i 26 ed i 51 anni che da anni si incontrano regolarmente per discutere, ma anche per organizzare eventi – a marzo è ad esempio in cantiere una rassegna di video. «Amare una donna ‘fa differenza’ – si legge nel loro sito - Fa differenza nella nostra inquadratura del mondo, e la nostra fotografia è necessariamente altra, perché la scattiamo da un angolo visuale diverso. Vogliamo riappropriarci del nostro sguardo, scattare più foto possibili». I progetti del gruppo sono molti, tra questi la costruzione di un «lesbizio», un luogo per lesbiche anziane che sia espressione di uno stile di vita differente. Da un anno e mezzo l’associazione è impegnata in un comitato regionale che ha promosso un presidio/volantinaggio sui fatti di Napoli sabato scorso e sta organizzando delle iniziative per l’8 marzo.

A Napoli – in particolare all’interno dell’università l’Orientale - sono invece attive le Degeneri, un gruppo di universitarie e precarie che si è formato nel 2006 con l’obiettivo di affrontare le questioni del femminismo in una realtà complicata come quella di Napoli e portare «una prospettiva di genere» all’interno dei movimenti. Moltissimi i temi affrontati dal gruppo: sessualità, famiglia, ingerenza del vaticano, e recentemente consultori e accesso all’aborto. Da settembre l’idea è quella di far partire un’inchiesta per capire come funzionano i consultori a Napoli e trovare informazioni utili per le giovani donne. Nel frattempo si interrogano preoccupate sulla colpevolizzazione che circonda la sessualità e le libere scelte delle donne [la retorica del «dramma» dell’aborto insegna]: per questo lo scorso anno, durante la manifestazione «No Vat», hanno distribuito saponette «Sabotage» per lavare via il senso di colpa.

Il Sexyshock nasce invece nel 2001, a Bologna, con l’apertura del primo sexyshop per donne all’interno di uno spazio occupato - il Tpo – [la nuova sede è presso il negozio Betty&Books]. Spazio progettuale, più che collettivo in senso stretto, il Sexyshock ha prodotto moltissime campagne, tra le quali la «Macho free zone», per combattere la violenza di genere e la cultura sessista che la produce. L’ultima «fatica» del gruppo è «Consensuality», una serie di workshop pratici, conferenze e serate per promuovere una «sessualità attiva, consapevole e consenziente, intesa come terreno di benessere gioco e sperimentazione». Si va dai corsi intensivi di varie tecniche sessuali come il «bondage» e il «fisting», alla preparazione di spettacoli di spogliarello e burlesque, il tutto condito di ironia e riflessioni sugli stereotipi, il pudore, i ruoli nella sessualità e nelle relazioni.

 

L’ironia è il marchio di molte delle campagne di un altro collettivo femminista, le Mai Stat@ Zitt@ di Milano. Dal «funerale dell’ovulo non fecondato», con il quale hanno protestato contro il nuovo regolamento funerario della «regione Sagrestia», la Lombardia di Formigoni, che sancisce l’obbligo di sepoltura dei feti abortiti, al presidio del 14 febbraio scorso davanti alla clinica Mangiagalli per i fatti di Napoli, le Mai Stat@ zitt@ hanno più volte fatto sentire la loro voce contro i «feti-cisti»  paladini della Vita. Che per inciso, come ci ricordano le Mai Stat@ Zitt@, sono spesso dispensatori di morte: dal disastro di Seveso negli anni ’70, sul quale il gruppo ha organizzato un convegno, alla «munnezza» di Napoli, scenario del bliz che ha provocato la rabbia di tante donne – «difesa ipocrita della Vita e produzioni di morte» vanno spesso a braccetto. Recentemente il collettivo, che organizza anche un corso di autodifesa femminista, ha lanciato una nuova campagna: per andare oltre la difesa della legge 194 – che ha aperto la strada agli ultimi attacchi alla libertà di aborto – è necessario ripartire dalla lotta all’«abiezione di coscienza». È per questo che le mai stat@ zitt@ propongono di «obiettare gli obiettori» attraverso un boicottaggio organizzato degli ospedali ed ambulatori che li ospitano.

Chiudiamo questo rapido viaggio parlando di un collettivo che si è formato a Venezia nel 2006, a ridosso della manifestazione «Usciamo dal Silenzio». Si tratta di «VengoPrima», che ha sede nel centro sociale Zona Bandita. Attive contro il progetto di legge regionale che nel 2006 voleva aprire ai volontari anti-abortisti, in primis il potente Movimento per la Vita, i consultori e le corsie degli ospedali, le ragazze di «VengoPrima» si preparano a dare battaglia ai sostenitori veneti della moratoria sull’aborto.

Il piccolo comune di …., amministrato da una giunta leghista, ha infatti già formalizzato l’adesione alla moratoria lanciata da Giuliano Ferrara, e c’è da scommettere che il rischio che l’adesione si diffonda è concreto. Intanto «VengoPrima» si prepara a far conoscere ed allargare la rete femminista sommosse.

 

questo articolo è stato pubblicato da Carta

7-03-2008

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