Da Repubblica dell'11 Febbraio 2005

In difesa delle donne

LAURA LILLI


Frida Khalo


Ho letto su queste pagine l´intervista ad Anna Bravo a proposito del suo saggio sull´aborto e sul femminismo Noi e la violenza. Trent´anni per pensarci (uscito sulla rivista Genesis, Viella) e le conseguenti interviste a Dacia Maraini e a Luciana Castellina. I vari interventi - a cui vorrei aggiungere questa mia testimonianza - riguardano anche la legge 194 sull´aborto, approvata in Parlamento il 18 maggio 1978, e ribadita il 17 maggio 1981 da un referendum popolare nel quale ha votato il 79,4% degli elettori (percentuale altissima). A favore della cancellazione della legge si è espresso solo l´11,6%, mentre per il suo mantenimento la maggioranza è stata traboccante: l´88,4% dei votanti. Viviamo in un paese democratico, dunque il discorso sembrava chiuso una volta per tutte. Ma tira un forte vento revisionista, e non siamo più certi nemmeno della Costituzione. Figuriamoci se possiamo sentirci al sicuro a proposito di una legge che sgancia le donne dalla sudditanza sessuale all´uomo, come bene ha chiarito Dacia Maraini.

Non tutte le donne devono abortire. Solo quelle che lo decidono. A queste il legislatore e lo Stato hanno il dovere di assicurare la stessa totale libertà di movimento, anche sessuale, che garantiscono ai cittadini maschi. (A tal punto gliela garantiscono da far ipocritamente passare la prostituzione una sorta di «male necessario» (?), indispensabile quanto la scuola dell´obbligo).
Ora, io ho l´impressione che nei precedenti interventi un tema sia stato lasciato in ombra, ed è su questo che vorrei intervenire, avendo partecipato in prima persona ad entrambe le campagne a favore dell´aborto: quella del ?78 e quella dell´81.
L´ho fatto - ed è questo il punto - pur essendo, io personalmente, contraria all´aborto. Sia perché sono credente pur non frequentando la Chiesa Cattolica (è la Chiesa che respinge le donne col mio tipo di opinioni e curriculum vitae), sia perché, a mio avviso, non occorrono né fede né scienza ma solo un po´ di senso comune per ammettere che un essere umano - così come un gatto o un coniglio - una volta concepito è concepito. C´è solo da aspettare che maturi fino alla nascita. Non ci vuol molto, mi sembra, per convenire con Anna Bravo sul fatto che anche il feto è una vittima.

E tuttavia, dicevo, io mi sono impegnata nelle due campagne. Perché l´ho fatto? Perché non credo che una mia opinione personale, senza dubbio condivisa da molte altre donne ma non da tutte, possa, in un regime liberale, essere trasformata in legge e resa obbligatoria. Le donne, come gli uomini, devono avere libertà di scelta. La quale non può prescindere da un uso del proprio corpo libero e indipendente dalla riproduzione, esattamente come avviene per gli uomini (vedi prostituzione). Se poi ne seguono gravidanze indesiderate, deve spettare alle donne, appunto, il decidere cosa fare: anche qui basta il senso comune per constatare che l´intera faccenda si svolge appunto nel loro corpo. Di cui, in Italia, fino a tempi recentissimi, le donne non sono mai state padrone: non solo per via della Chiesa ma anche per le leggi e il comune sentire.

E´ evidente che libertà di fare qualcosa non significa «obbligo» di farla: anzi, è precisamente il contrario. Così, se una donna non vuole abortire, legge o non legge, non abortisce. Ma se poi vuole, non rischierà più la morte sul tavolo di cucina di qualche mammana, armata di prezzemolo e ferri da calza. Per poi alzarsi sanguinante e appesantita dal solito inconfessabile senso di colpa (antica arma per sottometterle). Le donne, anche quelle che abortiscono o hanno abortito, non sono mai state "abortiste", parola usata con spregio ma a vanvera dai cosiddetti difensori della vita. L´aborto è troppo doloroso e drammatico perché qualunque donna possa essere a suo favore in astratto.
Dal 1981 la conoscenza dei contraccettivi si è diffusa. Molte statistiche dicono che fra le italiane acculturate l´aborto è di fatto scomparso. E´ rimasto soprattutto fra le immigrate dai Paesi dell´Est. Inoltre, oggi in Italia, si può anonimamente partorire in ospedale e andarsene, lasciando il figlio da dare in adozione. Ma si sarebbe arrivati a questo senza certe dure ed amare battaglie femministe?