LORDE – MILANO 14 APRILE 2013

Missione sopravvivenza
Margherita Giacobino


Come ha affermato la sua biografa Alexis De Veaux (Warrior Poet, 2004) Audre Lorde ha vissuto due vite, una prima e una dopo la scoperta del cancro.
Il cancro segna, nella vita della poeta guerriera – ma io direi anche, a tutti gli effetti, poeta filosofa – non una cesura ma un’intensificazione e ampliamento del sentire e del pensiero, la rapida maturazione di un percorso che, profondamente connaturato al suo modo di essere, senza la guerra contro il cancro sarebbe forse stato compiuto più lentamente, o in modo meno incisivo.
Come ha detto il suo terapista tedesco, Lorde non è morta di cancro, ma con il cancro, allo stesso modo in cui è vissuta con il cancro (v. A Burst of Light: Living with Cancer). La lotta contro la malattia è per Lorde ‘solo un’altra faccia di quella continua battaglia per l’ autodeterminazione e la sopravvivenza che le donne Nere combattono ogni giorno, e in cui spesso trionfano’. Integrata nell’esistenza, ne aumenta la forza e ne esalta la limpidezza di visione, in quel modo tipico di Lorde di trasformare anche il più radicale dei conflitti in consapevolezza, e quindi in energia e potere di autodeterminazione.

Nel 1974 Audre Lorde compie un viaggio in Africa, un viaggio molto importante per la sua ricerca di origini, di nome, di appartenza: l’Africa le ha offerto – e lei ha saputo prendere, come sempre scegliendo quello che le è utile per la sua vita – figure di donne che esaltano il potere femminile: le Amazzoni del Dahomey, le dee potenti, oltre ad esempi reali di quei rapporti di amore, lavoro e condivisione tra donne che erano adombrati nelle parole di sua madre, In sostanza, il viaggio le consente di costruire il mito delle proprie origini, africane e caraibiche.
Tra le dee che seducono la sua immaginazione e operano nel suo pensiero c’è Seboulisa, la madre di tutti gli dei. Seboulisa ha un seno solo, l’altro essendo stato ‘divorato dai vermi del dolore’ -  quasi una profezia del suo destino.

Nel 1977 Audre Lorde scopre di avere qualcosa che non va al seno – abituata ad ascoltare il suo corpo, pensa alle peggiori possibilità del cancro, pensa a Seboulisa, ad Afrekete, la dea del mare, nel cui nome firma ora spesso le sue lettere: Nelle mani di Afrekete.

Questa premessa per sottolineare come il lavoro che Lorde compie incessantemente su di sé e sulla realtà che la circonda va oltre la sfera razionale, e attinge a quel nucleo oscuro, fecondo, che lei ritiene essere dentro ciascuno di noi: lo definirà poesia, o madre Nera, la poeta, e ancora:

‘Per ciascuna di noi in quanto donna, esiste un luogo oscuro e interiore, da cui il nostro vero spirito si innalza e cresce nascosto, ‘bello – e forte come un castagno – sostegno contro il nostro incubo di debolezza’ e di impotenza.
Questi luoghi della possibilità all’interno di noi sono oscuri perché sono antichi e nascosti; è attraverso quell’oscurità che sono sopravvissuti e si sono rafforzati. All’interno di questi luoghi profondi, ognuna di noi serba un’incredibile riserva di creatività e di potere, di emozioni e sentimenti non esaminati e non registrati. Il luogo del potere della donna all’interno di noi non è né bianco né in superficie; è oscuro, è antico e profondo.
Quando il vivere al modo europeo ci appare solo come un problema da risolvere, per renderci libere possiamo contare solo sulle nostre idee, perché è questo che i padri bianchi ci hanno insegnato essere prezioso.
Ma, se entriamo più in contatto con la nostra antica, non-europea, coscienza del vivere come situazione da sperimentare e con cui interagire, impariamo ad affezionarci sempre più al nostro sentire, e a rispettare quelle fonti nascoste del nostro potere da cui sgorga la vera conoscenza e, quindi, l’azione durevole.

E’ in questo luogo oscuro, pericoloso e ricco, che Lorde scava i materiali per la sua politica di vita, il suo attivismo femminista, nero, lesbico, la sua lotta contro il cancro. E ovviamente la sua poesia. Ne estrae un sentire che lei usa - altra parola importante per lei, che è sempre alla ricerca della lucida esperienza e dell’azione concreta – con grande lucidità.

In quella fine d’anno del 1977, dopo un periodo di suspense, la biopsia rivela che non si tratta di un tumore maligno.

Invitata a parlare a un convegno di donne, dal tema: ‘La trasformazione del silenzio in linguaggio e azione’, Lorde pensa di rifiutare: i suoi pensieri sono lontani, è assorbita dall’idea di quello che sta vivendo. L’amica Adrienne Rich la induce invece a partecipare, parlando proprio di questo,

Ne risulta uno dei primi scritti di Lorde in prosa, e diventerà noto, leggendario, tanto da attribuire a lei la creazione del tema dell’incontro: ‘la trasformazione del silenzio in linguaggio e azione’.

Il tumore al seno rappresenta per Lorde la rivelazione tangibile della sua mortalità. Abituata a guardare in faccia la realtà, convinta che farlo sia necessario per quella lotta e conquista di potere che è il suo grande obiettivo (potere di vivere, di sperimentare la vita, non secondo formule, ordini, leggi, ma secondo il sentire di ciascuno, completezza e poesia allo stesso tempo) guarda nella breccia paurosa che si è aperta.
E quello che vede la rende più forte. La coscienza che il tempo che ci è dato è limitato rappresenta uno stimolo potente a interrogarsi, e allora:

‘priorità e omissioni appaiono sotto una luce impietosa, e quello che maggiormente rimpiangevo erano i miei silenzi. Di cosa mai avevo avuto paura? Domandare o parlare secondo il mio pensiero poteva significare sofferenza, o morte. Ma tutti quanti siamo costantemente feriti in così tanti modi, e il dolore cambia, o finisce. La morte, d’altra parte, è il silenzio finale. E ormai poteva arrivare in fretta, senza stare a guardare se avevo detto ciò che era da dire, o mi ero soltanto tradita con piccoli silenzi, mentre aspettavo il giorno in cui avrei parlato, o che qualcun altro parlasse per me. E ho cominciato a riconoscere dentro di me una fonte di potere che viene dalla conoscenza che, anche se non avere paura è molto desiderabile, prendere le distanze dalla paura mi dava una grande forza.
            Sarei morta, se non ora più tardi, che avessi parlato o no. I miei silenzi non mi hanno protetta. Il vostro silenzio non vi proteggerà. Ma con ogni parola reale pronunciata, con ogni mio tentativo di dire quelle verità che ancora vado cercando, io avevo stabilito un contatto con altre donne, avevamo preso insieme in esame le parole per esprimere un mondo in cui tutte crediamo, costruendo un ponte sulle nostre differenze. E sono state l’attenzione e l’affetto di tutte quelle donne a darmi forza e a mettermi in grado di esaminare le cose essenziali della mia vita.

Per quelle di noi che scrivono, è necessario non solo prendere in esame la verità di quel che diciamo, ma la verità del linguaggio con cui lo diciamo. … Perché è solo così che possiamo sopravvivere, prendendo parte a un processo vitale che è continuo e creativo, che è crescita. …

Possiamo imparare a lavorare e parlare quando abbiamo paura nello stesso modo in cui abbiamo imparato a lavorare e parlare quando siamo stanche. Perché la società ci ha insegnato a rispettare più la paura che il nostro bisogno di linguaggio e definizione, e mentre aspettiamo in silenzio il lusso finale del non aver più paura, il peso di quel silenzio ci soffocherà.’

Lorde parte da elementi comuni a tutta l’umanità, a tutti gli esseri viventi: la mortalità. La paura della morte e del dolore. Il desiderio di esistere in pienezza. I condizionamenti dell’ambiente. La stanchezza, il coraggio, la lotta contro la rassegnazione.
La vita contro la morte.
E’ questa la vera grandezza di Lorde: il suo parlare politicamente, alle donne nere, a tutte le donne, a tutti quelli che vogliono ascoltarla, parlare di differenze partendo dai tratti comuni, addirittura dal minimo comune denominatore dell’umano.

La sua straordinarietà come attivista politica è il fatto che, al contrario di tanti attivisti, che tendono a partire dall’esterno – le priorità esterne, le scadenze, la necessità di dimostrare qualcosa agli altri – e a negare istanze profonde in nome di qualcosa di molto più mondano, insomma a convalidare l’affermazione machiavellica che il fine giustifica i mezzi, che la politica è una cosa ben diversa e spesso opposta al sentire ecc… Lorde parte dall’interno, rifiutando qualsiasi compromesso con l’esterno che possa diminuire o anche solo semplificare il sentire profondo.

Ma il responso del primo intervento si rivela fallace, e l’anno dopo il problema si ripresenta, più grave. Dopo un esame attento, dopo aver letto testi medici e interrogato i dottori, e preso in considerazione le terapie alternative, Lorde decide per una mastectomia.

A questa prima fase risalgono I diari del cancro, che raccontano la sua storia di resistenza alla malattia e di rifiuto e smascheramento della cosmetica della malattia che la società vorrebbe imporle

La lotta di Lorde contro il cancro è personale e politica. Lorde lavora e riflette tanto sul livello simbolico quanto su quello dell’oppressione materiale, economica delle donne.
Ecco come motiva il suo rifiuto, sconcertante e inaccettabile per i medici e i bempensanti, di indossare una protesi:

…quanto Moishe Dayan, il primo ministro di Israele, si presenta in parlamento o in TV con una benda sopra l’orbita vuota, nessuno gli dice di procurarsi un occhio di vetro, né che sta minando il morale del suo ufficio. Il mondo lo vede come un guerriero con una ferita onorevole, che ha perso una parte di sé – ne porta il segno, l’ha rimpianta, l’ha superata. E se il fatto che a Moishe Dayan manca un occhio vi turba, è chiaro che il problema è vostro, non suo.
Anche le donne con il cancro al seno sono guerriere… Per me, le mie cicatrici sono l’onorevole memento che io posso essere una vittima della guerra cosmica contro le radiazioni, i grassi animali, l’inquinamento dell’aria, gli hamburger di McDonald e i coloranti artificiali, ma la battaglia continua, e io ci sono ancora dentro. Mi rifiuto di nascondere o banalizzare le mie cicatrici dietro la lana o il silicone. Mi rifiuto di essere ridotta ai miei occhi o a quelli degli altri da guerriera a semplice vittima … (Cancer J.)

La sua personale lotta contro il cancro diventa smascheramento del sessismo dello sguardo maschile (compreso quello dei medici), e del razzismo onnipresente: perché i cerotti color carne sono sempre rosa?

Nei primi anni ’80 Lorde scopre di essere nuovamente affetta da problemi, questa volta al fegato; dopo un periodo in cui si rifiuta di ammettere che si tratti di metastasi, e quindi maligne, si affida all’antroposofia, da lei conosciuta in Germania – paese in cui soggiornerà ogni anno negli ultimi otto anni della sua vita, per condurre corsi all’università americana di Berlino, su invito di Dagmar Schultz – perché ritrova in questo tipo di medicina una concezione unitaria dell’essere umano, e della cura.

Lorde è profondamente olistica – per questo non può non sentirsi subito in sintonia con il presupposto fondamentale del discorso antroposofico. Unità nella complessità e nelle differenze, potrebbe essere la formula che sintetizza il suo pensiero – quindi una medicina che cura, oltrechè con i farmaci, anche con la meditazione, con la danza, con i colori, non può non avere un senso e un’attrazione per lei.
A queste cure lei stessa, e le persone che la circondano, attribuiscono il merito di aver prolungato la sua vita di qualche anno; invece dei 3-5 anni al massimo che la medicina ufficiale le pronostica, Lorde sopravvive alla ricorrenza del cancro per circa dieci anni, periodo in cui cambierà la sua vita.
Ancora una volta interrogandosi su: cosa voglio fare, come voglio vivere il tempo che mi resta, Lorde lascia New York e la sua compagna Francis, e finisce per stabilirsi nell’isola di St. Croix con Gloria Joseph, presenza fedele accanto a lei quanto la sua prima compagna, ma sicuramente più forte, più autorevole, più simile a lei, in quanto donna nera caraibica, attivista, partner con cui può parlare il linguaggio che è il suo.

La sopravvivenza come missione: la visione di Lorde è quella di un mondo dominato da un potere spesso violento, sempre oppressivo – una guerra, in cui non si può essere che guerriere, o vittime – ma la guerra delle guerriere è diversa da quella degli oppressori, esattamente come la lotta di chi attacca è diversa da quella di chi si difende: l’assalitore che vuole espugnare una città sotto assedio, per raggiungere il suo scopo deve conquistarla, abbatterne le difese, distruggerla – agli assediati, invece, basta sopravvivere.

Non è un compito facile: richiede vigilanza continua, una forza profonda, una presa di posizione concreta e costante:

So solo che non devo consegnare il mio corpo ad altri se non comprendo fino in fondo e non sono completamente d’accordo con quello che pensano di dovergli fare. Devo considerare con attenzione le mie opzioni, anche quelle che trovo ripugnanti. So di poter ampliare la definizione di vittoria fino al punto in cui non posso perdere. (A Burst of Light)

Ampliare la definizione di vittoria fino al punto in cui non possiamo perdere è un messaggio filosofico di rara intensità. Significa, credo, comprendere anche la nostra possibile sconfitta davanti alla morte – l’inevitabile sconfitta finale umana davanti alla morte – comprendere la morte come parte della vita, e alla luce di questa comprensione riaffermare la vita, continuare ad amare la vita per noi e per i nostri figli, come lei non si stancava di ripetere. Significa vivere oltre la morte, come Lorde vive nelle sue parole a noi, nella sua eredità.


Vedi anche:

Nicoletta Buonapace, Il lavoro di Audre Lorde

Marta Gianello Guida, Le lettere che ho nel mezzo

Maria Nadotti, Audre Lorde - The Berlin Years 1984 to 1992

25-04-2013

 

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