Il lavoro di Audre Lorde

Nicoletta Buonapace


Il 14 Aprile 2013 il Gruppo Soggettività Lesbica della Libera Università delle Donne di Milano e Immaginaria, storica associazione bolognese che ha diffuso cinematografia e documentaristica lesbiche in vari festival, hanno organizzato una giornata di riflessione su Audre Lorde, attivista e pensatrice afroamericana, morta nel 1992 di cancro, che ancora oggi c’interroga con i suoi scritti filosofici, la sua poesia, le sue battaglie.

Nel corso della giornata a lei dedicata, abbiamo visto il documentario “Audre Lorde. The Berlin years – 1984 to 1992” di Dagmar Schultz, premio del pubblico nel 2012 al Festival Gay e Lesbico di Barcellona, costruito con il materiale di un archivio ricchissimo, che racconta l’influenza di Audre Lorde sulla comunità di giovani donne afro-tedesche che si strinsero intorno a lei in quegli anni e il rapporto con le donne che la conobbero.
Da quell’esperienza nacque un gruppo di autocoscienza che dette luogo poi anche a un libro che dava voce alla specificità e differenza di una comunità, quella nera e tedesca, che fino ad allora non si era pensata come tale.

L’insegnamento di Audre, che aveva vissuto il razzismo e che in tutta la sua vita ha riflettuto sulle connessioni tra razzismo, sessismo, omofobia, convinta che non ci fosse una gerarchia tra le varie forme di oppressioni, ma un intreccio delle une con le altre all’interno di una costruzione culturale etero-patriarcale, è stato principalmente quello di partire da sé e dal proprio posizionamento, diremmo oggi, nel mondo che abitiamo e che comprende colore, classe, orientamento sessuale.
Audre Lorde invita, da questo punto di vista, a una presa in carico della propria differenza e della propria parola, a partire dal proprio corpo, dalla propria sensibilità ed esperienza personale per farne discorso politico.

Audre infatti non ha mai separato l’attività politica da quella intellettuale, si definiva:  “nera, lesbica, femminista, guerriera, poeta, madre”, mettendo al centro l’esperienza più intima, da quella della malattia, per esempio, nei suoi anni berlinesi attraverso “I diari del cancro”, a quella dell’amore per le donne, che sempre l’ha accompagnata e di cui ha scritto in poesia con versi potenti, vissuti coniugati con il desiderio di trasformare il mondo.
Questa centralità dell’unità di corpo e mente, di pensiero e azione, il radicarsi nella propria esperienza è un messaggio che ci tocca profondamente, scriveva: “Per me non c’è alcuna differenza tra scrivere un buon poema e muovermi nella luce del sole accanto al corpo di una donna che amo”.

Quello che ancora ci dà oggi Audre Lorde è così l’incoraggiamento a farsi soggetti della propria vita attraverso la consapevolezza, l’uso politico della rabbia, dell’eros come forza vitale, rendendolo linguaggio, parola, e insieme azione politica. L’incoraggiamento a riconoscere le differenze, nominarle e farle convivere, anche là dove è più difficile, ad esempio tra donne bianche e nere, per una battaglia comune, in una visione della politica che non esclude la differenza, ma la fa divenire motore di consapevolezza e trasformazione.
Audre Lorde insegna a riconoscersi portatrici di un potere, che affonda le sue radici nel nostro sentire più profondo, là dove risiede l’origine della nostra libertà, e che la nostra responsabilità e la nostra possibilità di costruire libertà dipendono dall’usarlo e dal farlo uscire dal silenzio cui è stato condannato da una tradizione culturale che ha voluto vedere nell’irrazionale, il poetico, l’oscuro, qualcosa che non può accedere alla dignità del sapere.
La nostra responsabilità e il nostro potere si danno dunque a partire dall’espressione di ciò che sentiamo e siamo nella nostra differenza.

Audre Lorde ci lascia in eredità il suo lavoro affinché lo usiamo e lo dice esplicitamente.
E’ questione di sopravvivenza, di vita o di morte ci dice, trasformare il silenzio in parola ed azione, uscire dall’invisibilità, superare la paura del giudizio. Questa sopravvivenza ci dà potere e forza.
Con lo stesso coraggio ci parla dell’esperienza della malattia.

La radicalità del suo pensiero investe anche il rapporto con il cancro, i suo Diari rompono il tabù del silenzio che circonda spesso quest’esperienza, e ne danno testimonianza; pagine in cui riflette sul sessismo nella medicina, l’estetizzazione di quella che lei chiama la “ferita” (la mastectomia) con il travestimento delle protesi, le considerazioni su un’economia che produce il cancro attraverso l’inquinamento e il cibo-spazzatura, il confronto con la mortalità, ma anche la forza dell’amore per la vita e per le donne, in una battaglia di senso che ha condotto fino alla fine.

 

Vedi anche:

Marta Gianello Guida, Le lettere che ho nel mezzo

Margherita Giacobino, Missione sopravvivenza

Maria Nadotti, Audre Lorde - The Berlin Years 1984 to 1992

 

25-04-2013

home