Nei mesi di gennaio e febbraio la nostra Associazione per una Libera Università delle Donne ha presentato e raccolto fondi (7.700 Euro - 15 milioni di lire) per un progetto di formazione professionale per 160 levatrici (ostetriche) tradizionali, proposto dell'Associazione Afghana Shuhada, a Yakawlang, provincia di Bamyan, Afghanistan. Di fronte alla guerra in Afghanistan, alcune di noi hanno modificato la posizione di totale estraneità nei confronti del conflitto, di diserzione s'era detto, assunta nel '99 durante la guerra del Kossovo. Per due mesi nelle assemblee di donne tenutesi con cadenza settimanale presso la Libera Università delle Donne, si era manifestata la volontà di non partecipare in alcun modo agli aiuti umanitari nei confronti delle popolazioni colpite dai bombardamenti e/o dalle persecuzioni nazionaliste. Per alcune l'estraneità e la rabbia nei confronti della propria appartenenza alla NATO, all'occidente e all'Europa si era trasformata anche nella promozione di una campagna astensionista per le elezioni del Parlamento europeo. Dopo
l'11 settembre e la previsione di una guerra di "lunga durata",
il cui primo obiettivo era l'Afghanistan, alcune di noi hanno sentito
l'esigenza non tanto e non solo di schierarsi contro la guerra quanto
di vedere quale ragionamento e quale pratica politica poteva aprire contraddizioni
reali all'interno di una situazione stritolante di globalizzazione del
conflitto. Abbiamo voluto evidenziare la terribile situazione materna-infantile afghana (muoiono 165 neonati su 1000 nati vivi e 257 bambini su 1000 entro i primi 5 anni, muoiono di parto 1700 donne ogni 100.000 nati vivi) e, a partire da questa realtà dura e inaccettabile, creare la possibilità di pensare un altro futuro investendo sul lavoro e sulla conoscenza di donne che possono operare nel proprio territorio. Abbiamo,
insomma, stabilito un rapporto di senso valorizzando il significato di
quanto già esisteva e continuava ad essere costruito. Ci siamo
accorte che la scelta del progetto offertoci da Shuhada, la promozione
della professionalità di levatrici tradizionali, rimandava ad un'immagine
simbolica alternativa alla guerra: la suggestione e il portato reale di
una possibilità di vita, migliore e più garantita, a fronte
di distruzione e morte. Una legittimità per analogia con la sua
forza ed i suoi limiti. Dato il buon successo dell'iniziativa, abbiamo deciso nel mese di marzo di proporre e finanziare un secondo progetto della stessa Associazione per la formazione di altre 160 levatrici tradizionali in una diversa località a Behsood provincia di Wardak, Afghanistan. Ci siamo anche chieste perché apprezziamo l'esposizione personale e politica di Sima Samar nel governo di transizione afgano, il suo lavoro da ministro a fianco di signori della guerra, fondamentalisti ed assassini della peggiore specie, proprio noi che ci eravamo contrapposte con forza ai governi di centrosinistra italiani ed europei durante l'intervento militare in Kossovo. E ci siamo dette che ci piaceva il tentativo di "porsi in mezzo", di valorizzare l'esperienza di lavoro e di trasformazione del reale, anche a quel livello, accettando di trattare in una situazione quasi impossibile mantenendo comunque una identità propria che si esprime, parallelamente, nell'attività associativa di Shuhada. Riteniamo
che nell'attuale situazione di conflitto e di contrapposizione frontale,
in cui tutta la forza è nelle mani della sopraffazione, sia importante
tenere aperti le contraddizioni e i livelli di trattativa per immaginare
e trovare momenti di mediazione positivi. Per operare in tal senso è
necessario ragionare e lavorare sull'altro versante del problema quello
legato alla parola, alla mediazione, alla comunicazione per esplicitare
i desideri, i diritti e la forza delle donne affinché emergano
e siano visibili le capacità, non solo di vita, ma di governo delle
complessità del reale da parte delle donne.
Sul terreno della legittimità per convenzione, sulla tessitura di relazioni e di confronto, sulla dichiarazione di diritti e la richiesta di visibilità in quanto donne, hanno operato attivamente le amiche del RAWA e, in Palestina/Israele come in Europa e in Italia, le Donne in Nero e Lidia Menapace con la Convenzione contro la guerra. Anche noi dell'Università delle Donne, abbiamo dato dei contributi con l'appello "Non in nostro nome" contro l'intervento in Afghanistan, con gli scritti di Lea Meandri che prefigurano la possibilità di rompere il meccanismo mimetico tra guerra di oppressione e movimenti di liberazione armati, con la manifestazione contro l'occupazione israeliana della Palestina valorizzando possibili spiragli di pace delle comunità pacifiste israelo-palestinesi. Il problema è come far convivere, prioritariamente dentro di noi, e con le altre donne il lavoro per la sopravvivenza e la vita, come è nostra consuetudine, e contemporaneamente trovare le parole, gli accordi, la capacità insomma di rendere legittimo e operativo il nostro punto di vista sulle diverse vicende del mondo, senza pretesa di egemonia e senza esclusione reciproca. Questo secondo aspetto è il più difficile da percorrere perché evidenzia le differenze, impedisce di tacerle o di superarle puntando su un obiettivo comune, chiede anzi che si esplicitino proprio nella volontà soggettiva di confrontarsi, capire e comunicare. La guerra dichiarata che continua in Afghanistan, in Israele/Palestina, nelle Filippine si sta allargando; sembra imminente un conflitto atomico tra Pakistan e India: 10 - 16 milioni di morti previsti. "Che rapporto c'è tra la nostra vita quotidiana e l'orrore che ci circonda ? Mettere in comunicazione la quotidianità con gli eventi. E' questo che dobbiamo fare." Le donne afgane, organizzate nelle loro associazioni, hanno dimostrato che è possibile non essere annientate nella nuda vita, una sorta di esistenza senza desiderio e responsabilità, sono riuscite a costruire, nascoste dai burqa, usando anche il burqa, momenti di vita individuale, sociale e di cittadinanza per sé e anche per gli uomini. A partire dalle considerazioni esposte, vogliamo ora concludere la raccolta di fondi del secondo progetto a Behsood e presentare alle persone che hanno contribuito all'iniziativa, un "resoconto - rendiconto" su quanto è stato fatto sia qui in Italia sia in Afghanistan. La dottoressa Sima Samar ci ha inviato una lettera a conclusione dell'iniziativa. Chi ha aderito o promosso la sottoscrizione al primo e al secondo progetto La
Libera Università delle Donne di Milano è una associazione
senza scopo di lucro fondata nel 1987 da donne coinvolte nei Corsi di
Educazione per gli adulti rivolti alle donne e nelle esperienze dei Consultori
per la salute della donna. Svolge attività di formazione e ricerca,
incontri pubblici su temi di attualità e di discussione critica
e bilancio sul lavoro svolto. |