Viaggio in Palestina

di Adriana Redaelli
 


Ritorno a Ramallah
Un'idea di pace

5 novembre - 10 novembre 2002
  7 novembre
8 novembre 
9 novembre 
 




Restano le impronte dei cingoli dei carri armati sull'asfalto. Sul Muqata orrendamente sventrato un artista ha innalzato una sinistra statua della libertà, verdastra, con una faccia da teschio e la torcia rivolta in giù. Restano montagne di automobili sfasciate che qualche scultore ha trasformato in installazioni agli angoli delle strade. 

Resta l'odioso check point di Qalandya, che ha acquisito un alto reticolato in più perché nessuno possa dubitare   che questo "unico paese democratico del medio oriente" non sia, in realtà, fondato sull’apartheid e fatto di lager dove si entra e da dove si esce solo facendo interminabili code "perché siamo schiavi", dice una donna a mezza voce, “e non vogliono che dimentichiamo che i padroni sono loro".

L'orrore, la tragedia, di questa scandalosa occupazione sono poco lontani,   al di là della valle, sui colli dove stanno accovacciati, arcigni, gli insediamenti, nel cielo dove rimbombano gli F16, sono a Jenin, a Rafah, a Nablus, negli oliveti sventrati dal "muro di difesa"  che sta trasformando una cittadina dopo l'altra in una copia del ghetto di Varsavia.

Ma la vita qui c'è. Tornare in questa città cento volte piegata e cento volte rinata fa bene al cuore. Ecco le strade animate, i souk profumati, le scolaresche di bambine compunte col fazzoletto in testa e il grembiule bianco e verde,  i ragazzini  monelli, i quartieri con i viali alberati che "sembrano Roma", i giardini fioriti, le case di pietra bianca, il profumo di gelsomino nelle notti tranquille. Le luci alle finestre, gli internet café, i bar trendy con i giovani appollaiati intorno ai tavolini a fare spuntini con focacce e humus, a bere vino e fumare lo hargile, la sala cinematografica elegante con un programma d'essai.

Com’è facile la pace.

C'è un andare e venire di gente di tutte le nazioni. Ci sono quelli  che "hanno preso il virus palestinese" e non se ne vanno più, come Resi, Hélène e Lina che insieme costituiscono il Centro Cattolico Melkite, e sono qui da prima dell’occupazione. O le suore  svizzere (sempre tre) che con l’aiuto di dio hanno costruito la Arab Evangelical  Home and  School e danno ospitalità a poco prezzo ai vagabondi come me. Ci sono i pacifisti, i giornalisti, quelli in viaggio di affari, quelli che riescono a tornare periodicamente alle loro case dai luoghi lontani dove li ha portati la loro condizione di profughi.

Tra tutti una coppia di anziani coniugi che, dopo l'occupazione del '67 sono fuggiti in California pensando di starci un paio di anni. Il tempo è passato, nel frattempo hanno fatto figli e nipoti e bisnipoti, ma ogni anno sono tornati qui per sei mesi, a riprendere possesso della casa in cima alla collina, usando il passaporto palestinese e non quello americano "perché questa è la nostra terra, noi non siamo turisti". Questa volta hanno dovuto sgobbare a lungo per riparare la casa devastata dalle invasioni di quest'anno.

Poi c’è Jamil, che uno si domanda come faccia a continuare a resistere, a scrivere, a pensare.

Certo non c'è lavoro, e chissà quale miracolo riesce a tenere in piedi molta di questa gente così provata. 

Ma la città cupa e sofferente di sei mesi fa, il continuo frastuono dei razzi, il cielo rosso di fuoco, gli spari dei cecchini, i morti innocenti per la strada sembrano appartenere a un incubo.

Come api operose tutti ricostruiscono, sistemano, sorridono agli angoli, chiacchierano, si abbracciano.

Come è fragile la pace. La città rinasce, per quanto tempo non si sa. Si fa finta che il nemico non sia dietro l'angolo, in agguato. 

Restano sui muri i ritratti dei cento martiri, e quello di Marwan Barghouti con le mani incatenate alte sopra la testa a sfidare i suoi giudici.

A mezzogiorno suonano le campane delle chiese cristiane, cantano i muezzin dai minareti, strombazzano le automobili in un’orgia di traffico.

La Palestina uccide i profeti, dice un proverbio. Ma io capisco, oggi, che questa gente non morirà mai.

 segue>>