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L’utilità di un convegno per soli maschi
Letizia Paolozzi



Wanda Broggi

Un gruppo di donne che potrei definire femministe per via della loro storia politica, si è incontrato a Bologna. A pesare e a motivare l’incontro stesso, il sussulto per la giornata organizzata dal Cespe intorno al tema “Biotecnologie e welfare“. In quella giornata al corpo femminile (e all’intelligenza delle donne ) gli organizzatori si erano riferiti esclusivamente invitando le signore a sedersi, ad ascoltare. Meglio se silenziose.

Tuttavia, quel convegno non è stato che la spia di una situazione più generale. Libri sulla storia d’Italia con saggi unicamente maschili; giornate internazionali sui media dove ha discusso il fiore (virile) della sociologia della comunicazione.

Qualcuna ha parlato di scacco. Ma questo non ha portato a agitare la fiaccola femminista. L’idea non era quella di tenere un controconvegno o denunciare lo strapotere dei maschi. E neppure di rivendicare pari opportunità a vantaggio di intellettuali di sesso femminile. Oppure, una maggiore visibilità per donne che molto hanno lavorato e si sono affermate in campi diversi della cultura, dei saperi. Il cuore del problema non stava lì. Piuttosto si è messo a suonare un campanello d’allarme. Che significa questa che io chiamerei svista, o strabismo per cui un sesso, cosiddetto forte, esclude quello cosiddetto debole (ma che debole, se mai lo è stato, non è più)?
Già. Che significa?

Forse è un segno della crisi della politica che si avvita su se stessa nel mentre applica soluzioni violente o semplificate o insensate, dice qualcuna.
Altre insistono sul “separatismo“ maschile inconsapevole, sulla sopraffazione inconscia, sulla coazione a ripetere, sulla incuria degli organizzatori: vai a sapere. Certo, il fenomeno dell’esclusione femminile ha del paradossale se osserviamo, appunto, che oggi ci sono molte più scienziate, magistrate, avvocate, architette che nel passato. Molte più competenze adesso di venti o trent’anni fa.

Eppure, le donne rischiano di scomparire. Non dietro un velo, un chador, un burqa. Come ordinano Bin Laden, o i tagliagole del nord dell’Afghanistan o la religione sciita o qualche moda occidentale incautamente inspirata alla sharia . Macché. Qui, le donne scompaiono dai luoghi istituzionali, dalle università, dai seminari, dibattiti. Succede dove si agitano piccole e grandi consorterie, dove si addensa un po’ di potere, dove la competizione è forte?

Naturalmente, anche le donne hanno le loro responsabilità. Conosco chi ha perso la pazienza. Non mi vuoi? Allora non mi meriti. Altre non intendono partecipare alle sfide tra maschi; altre ancora non hanno interesse a discutere le loro pratiche politiche assieme agli uomini.

Una potrebbe dire: va bene così. Gli uomini con gli uomini; le donne con le donne. Ci si incontra per fare un bambino, per mettere sù famiglia. Magari per il pranzo di Natale. Peccato che in questo modo la realtà non si modifica. Anzi, con l’interdizione di un sesso, senza un tessuto di relazioni, la realtà si impoverisce. E si impoverisce la cultura, il linguaggio. La politica. Che cos’è, d’altronde, se non una prova di questo impoverimento la follia di una legge orrenda come quella sulla procreazione assistita?

A Bologna il tentativo è stato, intanto, di ricominciare a nominare gli ostacoli. Provare a fare rete tra pratiche politiche. Mettere in campo i saperi. Ci sono stati contributi, tra le altre, di Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Caterina Botti, Maria Grazia Campari, Elena Del Grosso, Maddalena Gasparini, Marina Graziosi, Paola Melchiori, Lea Melandri, Grazia Negrin, Antonella Picchio, Tamar Pitch, Monica Toraldo di Francia, Monica Soldano, Anna Rollier, Ines Valanzuolo, Milli Virgilio, Grazia Zuffa,

Forse ci saranno altri incontri. Eventualmente, una pubblicazione-galateo sui cattivi e (ci auguriamo) sui buoni rapporti tra uomini e donne.