Donne e scienza
Tre incontri di/tra donne di scienza

Introduzione
di Grazia Morra

La scelta di dedicare una parte delle nostre energie al rapporto Donne e Scienza, intervento insolito per un Comitato Pari Opportunità, nasce dalla convinzione che all'interno delle università non sia possibile costruire azioni positive per le docenti e per le tecniche senza aver affrontato il nodo del rapporto di potere che qui si produce e si riproduce tra coloro che ricercano, i committenti della ricerca nella società, chi insegna ciò che ha ricercato e chi apprende.


E'all'interno di questo nodo che si spiegano alcune delle ragioni delle difficoltà che le donne hanno incontrato nel lavorare in un ambiente scientifico misurato su bisogni in gran parte estranei alle donne o al loro ambito di relazioni. Siamo partite dal dato di fatto che l'università non è extraterritoriale rispetto a quanto sta accadendo nella società, allo sfruttamento, alle guerre, all'uso dei corpi, ai domini sulle menti, al commercio degli esseri umani e alle nuove dipendenze e schiavitù, ma crocevia degli interessi economici che stanno alla base della ricerca scientifica e luogo di formazione delle culture che hanno contribuito e contribuiscono alla divisione del lavoro produttivo e riproduttivo.


Di conseguenza è facile immaginare come la nostra concezione di "azione positiva" sia vasta: si estende dall'intervento in materia di farmaci, di tecnologie, di manipolazioni genetiche alla proposta di nuovi programmi di ricerca e di insegnamento. Alla base del nostro intervento sta inoltre la convinzione che la ricerca sia inscindibile dall'uso che ne viene fatto, perché la scienza non è neutra, avulsa dal contesto nella quale viene prodotta e dal suo utilizzo.


Al contrario, le scelte di scienziati e tecnologi influenzano i rapporti sociali e di produzione ed implicano una responsabilità sociale, che molti non vogliono assumersi o riconoscere in nome di una pretesa neutralità della scienza.
Chiunque viva nelle università o abbia una minima conoscenza di come la scienza si produca sa che essa è tutto tranne che neutra. Lo sviluppo tecnologico la trascina con forza al servizio di chi ha interesse economico a finanziarla per utilizzarla. In Italia ciò è avvenuto in particolare negli ultimi anni, quando gli atenei, per adattarsi al mercato, hanno risposto alle sollecitazioni esterne trasformandosi.


E' evidente che se un'università destina molti finanziamenti a ricerche che ci riguardano direttamente avremo maggiori probabilità di utilizzarle in applicazioni di nostro interesse, mentre se incoraggia, ad esempio, ricerche a fini bellici più o meno mascherati è difficile per gli scienziati e le scienziate controllarne le ricadute: possono lavarsi le mani dicendo che loro non c'entrano. Non a caso uno dei nostri argomenti riguarda la committenza sociale della ricerca, cioè la capacità dei soggetti, ad esempio di una rete di donne, di esprimere attivamente un proprio bisogno di ricerca in un determinato ambito scientifico.


Se un numero di persone sempre più vasto ha accesso ai saperi nel momento e nei luoghi in cui questi vengono prodotti è possibile che si allarghi il dibattito sulle applicazioni e sulle conseguenze delle ricerche scientifiche ed aumentino le risposte ai bisogni e agli interessi delle donne, dei bambini, del benessere degli esseri umani piuttosto che a quelli di dominio, di controllo, di sfruttamento. L'intreccio scienza-potere ha sempre curato moltissimo la limitazione degli accessi ai luoghi di produzione e di trasmissione del sapere, garantendo così il controllo della propria riproduzione.


I problemi delle biotecnologie, dell'ingegneria genetica, della sperimentazione sulla procreazione ci riguardano direttamente, investono i nostri rapporti con l'altro e modificano le nostre identità personali e collettive. Oggi fare ricerca vuol dire partecipare al cambiamento di questi assetti, che ne siamo consapevoli o no. Ciascuna di noi ha la responsabilità sociale di aprire il dibattito sulla fattibilità e sulle conseguenze delle ricerche scientifiche e delle applicazioni tecnologiche in tutti i luoghi di produzione, ma maggiormente è responsabile, fra noi, chi produce ricerca utilizzabile contro la vita o per il dominio sui corpi e sulle menti e non si cura del suo utilizzo.


Perchè realizziamo una cosa e non un'altra? Perché sviluppiamo una ricerca piuttosto che un'altra? Dobbiamo utilizzare tutto ciò che scopriamo? A molti perchè rispondono ogni giorno i mercati ed i creatori di bisogni e di merci. Ma a qualche perché potremmo rispondere noi, realizzando cose che ci interessano e contrattando attivamente, con forza, con il potere accademico, una quota di finanziamenti destinati alle ricerche d'interesse delle donne.


La ricerca si apprende, come ogni altra cosa, attraverso l'esempio, ma si muove anche su intuizioni, informalità, osservazioni contingenti. La ricerca ha bisogno di menti che abbiano tempo di pensare e voglia di provare. Al contrario l'immagine della ricerca vive d'impersonalità, di oggettività, di scientificità, di neutralità. La ricerca fa i conti con la tirannia dei finanziamenti, le strategie di carriera, le tecniche di persuasione degli scienziati, con il legame tra potere politico, potere economico e potere contrattuale degli scienziati.


Guardiamo i rapporti tra le persone in carne ed ossa che fanno ricerca scientifica, uomini e donne, ed i gruppi di ricerca. Vediamo che i gruppi si avvalgono del lavoro di molti ma alla fine l'attribuzione del risultato va ad uno, generalmente uomo. Anzi si tende a disconoscere il contributo femminile, ad inglobarlo, a fagocitarlo, a non riconoscerne il valore, a considerarlo dovuto, manovalanza, spogliandolo del pensiero necessario alla sua realizzazione. In questa separazione fra astratto e concreto, fra pensiero ed azione, fra teoria e pratica si cela uno dei tanti trucchi della discriminazione. Eppure quell'apporto specifico era fondamentale. Senza quel contributo la ricerca non si sarebbe mai prodotta. Non importa. Il risultato va al titolare del finanziamento, a chi è riuscito a concludere, nel sistema di alleanze, quei patti necessari a realizzare l'affare, a chi comunque gestisce sul piano pubblico i rapporti economici e sociali.


Anche le donne hanno un ruolo nel riprodurre quest'assetto di potere, perché nella scala delle nuove complicità c'è un posto per tutti coloro che non ne prendono le distanze. Il mondo della ricerca è quindi un microcosmo androcentrico nel quale sono entrate donne molto motivate e tenaci, donne splendide, altre ammesse per via di rapporti affettivi, altre, omologate, che hanno rinunciato a generare. Sono entrate donne nei cui confronti la scienza ha un debito altissimo, che sono state letteralmente derubate dei risultati dai loro colleghi, o, ancora, donne che hanno preparato - in posizione subalterna - tutto il lavoro scientifico occorrente per mettere a punto una nuova tecnica o scoperta.

Partendo proprio dal laboratorio, come luogo in cui avvengono le pratiche scientifiche e in cui le donne oggi sono presenti, possiamo seguire con l'occhio il percorso: l'immagine costruita nel processo di ricerca è già più povera di figure femminili di quanto non lo sia il laboratorio. Quando poi arriviamo alla pubblicazione, al risultato scientifico, alla carriera, alle alleanze, alle complicità fra i gruppi e nella società, ecco che l'esclusione delle donne diventa palese.

Sappiamo che questo non è il cuore del problema, ma la forma attraverso cui esso si manifesta. Il motore che produce e riproduce le disuguaglianze si basa sulla confusione di sé, sull'appropriazione dell'altro e del suo lavoro, sulle gerarchie sociali e relativi domini/sottomissioni.
E' intorno alla decostruzione di questo paradigma che deve appuntarsi la nostra attenzione, se vogliamo scrivere una pagina nuova, utile alle nuove generazioni di uomini e di donne.

Siamo partite da una critica allo stereotipo della neutralità della scienza. Nel nostro programma del 1998 avevamo pensato ad un terreno di confronto e di comunicazione con i comitati di bioetica e con gli organi della didattica e della ricerca universitaria, nell'ottica del mainstreaming, cioè della strategia dell'inserimento diretto delle azioni positive nelle politiche generali dell'istituzione. Viene oggi da sorridere a quel pensiero, se non fosse per l'orrore che abbiamo provato di fronte alla derisione e al disprezzo maschilista da parte dell'assetto di potere accademico.
Abbiamo osservato l'università in cui lavoriamo e studiamo: un luogo in cui solo pochissime donne diventano professori ordinari, senatrici accademiche, presidi, dirigenti o direttori di dipartimento. La sottorappresentazione rispetto al numero delle studentesse, delle lavoratrici e delle laureate delle rispettive facoltà era talmente evidente che non servivano binocoli particolari.

Ciononostante non tutte ci avevamo fatto caso. Com'è noto la discriminazione, per prodursi, spesso bussa alla porta della "normalità".
Poi abbiamo cominciato ad interrogarci su come intervenire praticamente ed abbiamo pensato alla creazione di una rete di donne di scienza nell'Università di Padova, a partire dalle ricercatrici. Le studentesse hanno dato vita ad un'indagine, di cui vi parlerà Elena Favero, a cui è seguito un questionario somministrato alle docenti.Ad un certo punto, con grande entusiasmo, sempre su iniziativa della componente studentesca, lo staff del comitato e un gruppo di lavoro hanno iniziato ad organizzare la presentazione della mostra itinerante "Scienziate d'Occidente: due secoli di storia" del Centro Eleusi-Pristem dell'Università Bocconi di Milano ed un ciclo di tre conferenze su "Donne e Scienza".

Nella prima conferenza Sara Sesti, insegnante, collaboratrice del Centro Eleusi Pristem dell'Università Bocconi di Milano ci parlerà delle presenze femminili significative nella storia della scienza, del rapporto difficile tra donne e scienza e di come è nata la mostra "Scienziate d'Occidente" che stiamo ospitando in Aula Nievo.

Giovanna Gabetta è entrata nel discorso Donne & Scienza e ha guardato il problema attraverso la lente deformante del potere. La sua storia personale è quella di una ricercatrice inusuale, una ingegnere nucleare. E' la prima donna laureata in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano.

Bice Fubini e Flavia Zucco, entrambe componenti della Commissione per la valorizzazione delle donne nella ricerca scientifica, si sono occupate a lungo del soffitto di cristallo, della valutazione dell'attività di ricerca, della presenza femminile nelle carriere universitarie e in quelle degli enti di ricerca.

Con Elisabetta Donini, docente di fisica dell'Università di Torino - Donne in Nero, Casa delle Donne di Torino - ed Alessandra Allegrini, filosofa del linguaggio bolognese, guarderemo al futuro con la memoria del passato e parleremo di come democratizzare la scienza.
Il Comitato Pari Opportunità dell'Università di Padova, infine, presenterà i dati relativi ad alcune ricerche su "scienza e genere" effettuate negli ultimi mesi con studenti e docenti delle Facoltà scientifiche.


Nel ringraziare tutte coloro che hanno partecipato a questa esperienza collettiva, e in particolare il gruppo di lavoro che ha reso possibile l'iniziativa, formato da Silvana Badaloni, Elena Favero, Luca Guerretta, Ornella Pantano, Lorenza Perini, Gabriella Rossi e coordinato da Francesca Vidotto, studentessa del Comitato, ci auguriamo che questa esperienza di ricerca e di sperimentazione sia in grado di aprire all'interno dell'ateneo nuove pratiche e strategie.