Delt@ n. 240 del 25 novembre 2003

A Napoli il Gruppo Sconvegno unisce donne del Nord e donne del Sud

di Eleonora Cirant


Il " gruppo sconvegno"

A Napoli, il 21 novembre, donne si incontrano, dando vita ad un momento di intenso confronto politico, ma anche di amicizia e di crescita: donne del nord e donne del sud, da Milano a Napoli a Catania, donne dei venti e donne dei sessanta passando per i trenta, i quaranta e i cinquanta.

L'occasione, o meglio, il pretesto, è dato dalla presentazione del libro del gruppo Sconvegno, Generazioni di donne a Sconvegno, uscito come Quaderno della rivista Pedagogika, ed. Stripes, 2003. L'impegno organizzativo è di alcune donne napoletane: Laura Capobianco, tra le animatrici della Scuola estiva Donne e Memoria; Angela Cortese e altre dell'Assessorato Pari Opportunità della Provincia di Napoli.
A promuovere l'incontro l'incontro, ci sono anche Simona Marino, filosofa dell'Università degli studi di Napoli; Letizia Tonino, che ospita le forestiere nel suo B&B La casa del sole; Lea Melandri, link vivente tra Napoli e Milano; Lia Polcari, della libreria Eva Luna.
La giornata è di quelle che nel ricordo sembra aver coperto un arco temporale molto più lungo delle dodici ore trascorse insieme.

Il mattino, alla biblioteca del CPE, è dedicato alla conoscenza reciproca (del gruppo Sconvegno ci siamo Chiara Martucci e la sottoscritta), con le nostre coetanee della scuola estiva: Manuela, Anna, Marina, Francesca, Chiara, Ombretta, Milena, Isabella, Benedetta, Amalia, Giovanna, hanno un'età che va dai ventidue ai trentatre anni, con un picco notevole intorno ai trenta; del cerchio che formiamo nella sala, fanno parte anche Letizia, che frequenta il dottorato di Studi di genere dell'Università Federico II di Napoli, da Catania Sara Fichera, che ha partecipato allo Sconvegno milanese e ha contribuito al libro, Laura e Ofelia, animatrici della scuola estiva, Lea, compagna di viaggio (e non madre simbolica, come qualcuna, sbagliando, definisce: né lei si ritiene tale, né noi ci riteniamo sue figlie!).

Nel primo giro del cerchio, ciascuna si presenta, raccontando soprattutto quando, come e perché ha incontrato il femminismo, i desideri e le aspettative, la progettualità politica e il disagio rispetto ad un contesto che proclama l'esistenza di un individuo neutro, mentre donne e uomini continuano a popolare in modo differente la realtà quotidiana del lavoro, dello studio, della militanza di partito, delle relazioni personali. L'incontro con il femminismo, inteso come presa di coscienza della non neutralità del mondo e del proprio vivere in esso, è descritto come sconvolgimento e coinvolgimento; un lento ma progressivo affiorare alla coscienza di un disagio, ma anche di una parte di sé che si percepiva senza poterla nominare; un modo di crescere, che prende forma nello studio e nelle relazioni che nascono e si sviluppano nell'ambito della scuola estiva, o del dottorato. Studio e relazione sono le parole chiave, insieme a scoperta, conoscenza di sé e del mondo, confronto, difficoltà del vivere isolatamente il contesto sociale.

Nella seconda parte della mattinata, cerchiamo di dare forma alla progettualità politica che siamo fermamente intenzionate a portare avanti insieme. Nessuna vuole ricreare IL femminismo che è stato, ma inventarne altri oggi, con parole e pratiche adatte a quello che siamo.
Siamo poche ma siamo già qualcosa. Siamo arrabbiate, siamo stufe dell'inganno della neutralità e lo vogliamo dire. Siamo donne, giovani e femministe: lo dichiariamo per agire un conflitto, pur consapevoli dell'ambivalenza insita nell'uso di parole dense di storia. Siamo qui ed ora: nel nostro tempo, con i nostri corpi di donna, con la nostra capacità di stare al mondo in modo critico e resistente al modello dominante, che il collettivo Tiqqun descrive e riassume così bene nella figura della Jeune-Fille (Elementi per una teoria della Jeune-Fille, Bollati Boringhieri, 2003). Non siamo qui come somma di singolarità giustapposte: a questo tipo di socialità da discoteca, opponiamo un noi che procede domandando; partiamo da noi stesse per comprendere da cosa nasce il nostro disagio, per nominarlo e fare di queste parole il veicolo di una pratica collettiva, che si allarghi per risonanza e contaminazione.

Ognuna ha da dire la sua; la discussione è appassionante, mai sterile; riconosciamo che la forza più prepotente dell'oppressione contemporanea è quella che disgrega e frammenta, per la quale l'individuo trova senso di sé solo consumando merci: essere qui oggi è già resistere. C'è chi ha dovuto lottare con il proprio datore di lavoro, per esserci, e rinunciare ad una giornata di paga, chi in altro modo ha rinunciato e rischiato: eppure esserci è un piacere.

All'immaginario dell'individuo neutro che fonda la propria ricerca di identità all'ultimo oggetto/vestito di moda, opponiamo il corpo reale. Quello che squilla i vari campanelli biologici (tra i tanti, intorno ai trenta suona quello drastico del desiderio di maternità: ma come faccio, che non ho una casa né un lavoro? In quale famiglia e con quali ruoli, che quelli esistenti li rifiuto?) il corpo che ha bisogno di uno spazio in cui abitare, piuttosto che di un cartellone pubblicitario su cui essere esibito, di sonno e riposo piuttosto che di un ritmo di lavoro 24 ore su 24.
La pressione dall'esterno è così forte che qualcuna invoca: facciamo qualcosa e subito; altre rispondono: quali parole e quali azioni possiamo mettere in piazza se prima non ci guardiamo dentro? Come incontrare altre donne se prima non incontriamo noi stesse? Il rischio di proporre l'antico binomio emancipazione/liberazione è forte. Forse l'elemento nuovo è di riconoscerne la pericolosità, e il tentativo di andare oltre, di stare continuamente sui margini che definiscono le pratiche tra individuo e collettivo. Cambiare me mentre cambio il mondo, altrimenti il mondo che cambio sarà sempre lo stesso. Immaginario e diritti non sono universi paralleli: sono intrecciati.

Ancora tracce: il separatismo è vissuto come necessità per l'elaborazione e la messa in luce dei propri bisogni, per frequentare i contesti misti forti di una chiarezza e consapevolezza che può aprire conflitti avendo alle spalle una socialità tra donne che si va costruendo.
Dopo la pausa pranzo, la conoscenza reciproca si approfondisce tra sfogliatelle e caffè. Arriviamo insieme alla sede del secondo incontro, il Dipartimento di discipline storiche dell'Università Federico II.

Coordina l'incontro (Generazioni di donne si parlano) tra il gruppo che si è visto al mattino con donne del cosiddetto "femminismo storico" napoletano, Angela Frenda, giornalista del Corriere del Mezzogiorno, che denuncia l'acredine dei colleghi maschi nell'applicare la direttiva del Direttore che impone di declinare sempre sostantivi ed aggettivi a seconda del genere della persona cui si fa riferimento: assessora/e, ministra/o ecc. (eppure nell'articolo da lei scritto per il proprio giornale nel medesimo giorno non si nomina, perché non fa notizia, la vera novità che questa giornata rappresenta: che giovani donne tornano a parlare di femminismo, e lo fanno senza entrare in contrapposizione con "le vecchie" ma aprendo un vero dialogo tra generazioni di donne, femministe del 2003). Apre il dibattito Angela Cortese che descrive il percorso del gruppo di donne che lavorano e fanno politica nell'Assessorato alle Pari Opportunità, in delega all'Ass. all'istruzione (questo fatto è frutto di una lotta svolta dentro le istituzioni: come spesso accade, la delega doveva andare ai Servizi sociali), un percorso che si interroga su quali sono oggi i modi e gli strumenti per stare insieme.

Molte voci si alternano al microfono, molte le domande: dalle napoletane a noi del gruppo Sconvegno, da donna a donna entro il contesto locale (non si legga: regolamento di conti, ma piuttosto: ripresa di un dibattito che non si è mai interrotto), da donne degli 'anta a donne degli 'enta: in questo caso è palpabile l'interrogativo verso una generazione di giovani che non percepisce la differenza di genere come un problema che la riguarda (salvo poi vedersela schiaffare in faccia al momento dell'ingresso nel mondo del lavoro, come sottolinea Manuela, del gruppo di giovani della scuola estiva). Altrettanto consistente è il sollievo di vedere che accanto a questa indifferenza, altre giovani donne fanno politica, ponendo in modo forte la necessità di farlo da una posizione non neutra. Ci chiede Simona Marino: il mondo è scosso da guerre e disastri di ogni tipo: perché in tutto questo bailamme sentite la priorità e l'urgenza di parole e azioni femministe? Perché, rispondiamo, anche le migliori teorie che pretendono di immaginare un mondo migliore possibile crollano se non partono dalla vita reale, concreta, per come è vissuta nella quotidianità; e noi viviamo, pensiamo ed agiamo in corpi sessuati, non neutri; questo è così evidente quando lavoriamo, studiamo, amiamo, consumiamo, produciamo e riproduciamo. Quando chiediamo un lavoro, quando mettiamo/non mettiamo su famiglia, quando curiamo, quando desideriamo. Il mercato non è neutro, le guerre e le ingiustizie neppure. Non ci interessa dire: le donne sono contro la guerra perché sono migliori, perché fanno i figli… e la Rice, allora? Pure lei è una donna! Ci interessa partire da noi, ma non rimanendo a noi, per comprendere cosa ci sta intorno e come modificarlo senza farne teorie astratte buone per una breve stagione.

Prendono parola donne di movimento e donne di partito. Ognuna aggiunge il suo pezzo ad una storia collettiva a più dimensioni, da scrivere a più mani. Le nostre facce non temono le rughe: chi non invecchia è una morta vivente. A chi si/ci chiede: cosa vi abbiamo trasmesso, rispondiamo che il femminismo non si trasmette: si pratica.

Nel sito vedi anche:

Quali soggettività femministe oggi...

Gli esiti dello sconvegno